18 dicembre di qualche anno fa: domenica sera. Finivo di lavorare ed ero in centro nella mia città, Vicenza. Stanca, erano circa le 19,40 e il buio era già sceso da circa tre ore e mezza. Non c’era molta gente in giro in quella domenica sera; la mia macchina distanziava 800 mt dal luogo del lavoro.
Vestita con un piumino lungo fino ai piedi bianco, tra le mani sacchetti e sacchettini, i regali di Natale e la mia borsa. Cammino e non mi rendo conto che una persona sta venendomi incontro. Mi scanso per farla passare e sento le mie braccia afferrate e dopo qualche istante mi ritrovo addosso ad un muro. La lama di un coltellino è puntata alla gola, lui sarà stato mezzo metro più basso di me. Ho una lucidità pazzesca in quel momento e gli chiedo cosa voglia. Mi invita ad entrare in un garage e di iniziare a spogliarmi. Io gli propongo la borsa:”Puoi prenderti i soldi, il telefono” ma la sua risposta è:”No”. Le sue idee sono molto chiare, le mie meno: cercavo una via di fuga, ma li per lì ho avuto l’impressione che vicino a lui ci fosse un complice. Quei momenti sono durati un’eternità. Cerco di assecondarlo, si potrebbe incattivire. Nel frattempo noto che non sta bene, trema, non parla bene, forse ubriaco. Penso che abbia i riflessi lenti e potrebbe giocare a mio vantaggio. Sollecita, vuole che mi sbrigo. Dal garage all’improvviso due fari, ricordo una macchina piccola, una utilitaria, una coppia dentro. Li guardo e riesco ad esclamare :”Aiuto”. Lui scende con prepotenza dal sedile di guida, la fidanzata lo accompagna. Lei mi afferra e mi guida con entrambe le mani a salire nei sedili posteriori. Entro, sono nella completa confusione. Mi siedo sopra a tanta carta, regali presuppongo. Guardo fuori dal finestrino i due uomini urlano e si agitano. Da li…..Buio totale. Ricordo a stento le parole di questi ragazzi, so solo che chiesi loro di salire nella mia macchina, dove dal parcheggio non mi sarei più mossa per le succcessive 2 ore in preda ad una crisi di panico, nervi, pianto. Ho chiamato la polizia che mi riempiva di domande alle quali non avevo la forza di rispondere. Chiamavo a casa dove ho allarmato tutti e ho chiesto di non muoversi, in qualche modo, con calma sarei arrivata.
Due anni ci ho messo per non avere più le palpitazioni: appena una persona si avvicinava più del dovuto arrivava l’ansia. Ogni uscita era un guardarsi attorno, se alle spalle sentivo dei passi mi fermavo per lasciare passare. Se una persona era spedita nella direzione contraria alla mia, per incrociarmi, cambiavo strada. Quell’episodio mi aveva condizionato e solo Dio sa quanto sono stata fortunata. Poteva finire peggio.
Ormai sono passati tanti anni, ho la forza di raccontarlo senza troppi patemi d’animo.
E’ successo ed è andata bene. Posso raccontarlo. Ma ogni giorno, leggo di chi questa fortuna non la ha. Stiamo sempre attente, non abbassiamo mai la guardia e non fidatevi mai degli amori violenti. Perchè ricordatevi che non cambieranno mai. E quando c’è la violenza, per l’amore non c’è posto.
Violenza sulle donne: quella volta che l’ho provata sulla mia pelle
By Elisa D'Ospina - MAG 15, 2013 MERCOLEDì