Tutta una questione di modelli, specie se di mezzo ci sono i giovani. Venti anni fa una modella pesava l’8% in meno di una donna comune, oggi il 23% in meno. Un divario con riflessi sociali ed economici. Una buona parte di donne punta ad assomigliare alle ossute modelle e così quella del dimagrimento è diventata una vera e propria industria che nonostante la crisi economica prospera e si aggiorna. La pubblicità ci fa sentire inadeguati, ci induce nella convinzione che saremo più affascinanti comprando un certo prodotto, seguendo magari la dieta del momento.
Lasciando da parte l’obestà, che è una malattia e che è aumentata in modo drastico nei paesi occidentali e che richiede ovviamente cure mediche, tralasciando pure il sovrappeso reale che nuoce innanzitutto alla salute, tutto il resto è ‘immagine’, modello di bellezza secondo il trend. Accettarsi per quello che siamo, liberarsi dall’ansia di raggiungere altri modelli offerti dalla pubblicità è una conquista faticosa della maturità, anzi spesso coincide con la stessa maturità. Proprio per questo i disturbi legati alla magrezza, l’anoressia prima di tutto, in generale sono propri dell’adolescenza e della giovane età. Per molto tempo, e certamente in parte è vero, l’anoressia è stata connessa al rapporto con i genitori, con la madre in particolare. Non che questo non sia più valido ma è diventato rilevante negli ultimi anni anche il disagio che deriva dal voler essere ‘perfette’ come le ragazze da copertina, come le modelle in passerella che al di là delle campagne del mondo della moda e dei piccoli cambiamenti che pure si avvertono, continuano ad essere in passerella giovani pelle e ossa da imitare.
Il tema riguarda i giovani, con la loro fragilità, ma anche gli adulti. Il divario che esiste tra le modelle e i modelli e le persone normali è cresciuto negli ultimi anni. Se già nel ’95 un’inchiesta americana dimostrava che dopo aver fatto circolare un grande numero di riviste, il 70% dei lettori si sentiva depresso, si vergognava del peso e dell’immagine corporea, chissà a quanto arriverebbe oggi quella percentuale. Assai più diffuso dell’anoressia ma molto meno noto è il disordine dismorfico, per cui si assiste ad un drammatico boom giovanile complice il cyberbullismo sui social network: è il timore sporporzionato di sembrare brutti, ci si autoconvince di essere intollerabilmente poco attraenti nell’insieme o in un particolare su cui si ingigantisce il problema che diventa così patologico. Gruppi di auto-mutuo-aiuto, come quelli dell’Associazione Fenice onlus in tutta Italia, con il centro Asl Roma E che tra i tanti interventi sperimenta con successo una danza-movimento-terapia (sul sito Fenice Lazio si può leggere, e commuoversi, con la lettera di Silvia ‘Finalmente in pace con il corpo’).
E’ la bruttezza immaginaria. ”Gli adolescenti – dicono alla Cooperativa Sociale Minotauro che da 30 anni si occupa di adolescenti e che a Milano ha un Consultorio Gratuito per Adolescenti e Genitori, sostenuto da Fondazione Telecom Italia e Fondazione Banca del Monte di Lombardia rivolto alle famiglie in difficoltà economica – temono che il proprio corpo sia inadeguato per la ricerca del successo sentimentale e sociale. Hanno la certezza di essere troppo grassi, magri, goffi, pieni di difetti. Non possono sottrarsi al problema della bellezza e della bruttezza: hanno un corpo che cambia, che si trasforma, che deve ‘fare bella figura’ di fronte allo sguardo degli altri. La vergogna per la propria inadeguatezza può spingere ad attaccare il proprio corpo, a modificarlo violentemente con comportamenti pericolosi, a mimetizzarlo o farlo sparire dagli sguardi degli altri”. Il ‘ritiro sociale’, da scuola ad esempio o chiudersi in camera di fronte al computer, fare un iperinvestimento sui nuovi media è una conseguenza frequente, una forma di disagio adolescenziale nuova collegata al sentirsi brutti. In questo ambito che è di forte disagio adolescenziale e in quello più adulto specie femminile dell’inadeguatezza rispetto ai modelli di bellezza proposti dalla moda e dalla pubblicità va a prosperare l’industria del dimagrimento.
Un’inchiesta di Jacques Peretti (che la Bbc sta trasmettendo in queste settimane su Bbc Knowledge, il canale tematico disponibile in Italia su Mediaset Premium il lunedì alle 22) , intitolata Un mondo sottopeso, svela quali sono gli imperi economici che sfruttano il desiderio comune di essere magri, un business così redditizio che punta sul fatto – spiega Peretti su basi scientifiche – che ogni dieta sul lungo periodo si rivela fallimentare e cerca il motivo per cui, nonostante il fallimento assicurato, la gente continui a seguire regimi alimentari che promettono corpi perfetti. L’industria si basa anche su una clientela affezionata: l’inchiesta di Perretti dimostra che sono sempre le stesse persone, clienti abituali, che cambiano dieta secondo la moda dell’anno. Parlano un ex direttore di Weight Watchers, che ammette che il fallimento dei clienti è un fattore significativo per i profitti della società; il miliardario Danny Abrahams di Slimfast e Pierre Dukan, della dieta Dukan. E poi intervengono gli esperti che sostengono che l’industria alimentare ha fatto del suo meglio per frustrare i tentativi di cambiare in meglio il cibo che mangiamo. Da anni attivisti americani si scontrano con la lobby alimentare chiedendo di introdurre leggi per tassare alimenti grassi e zuccherati
Articolo di Alessandra Magliaro – Ansa.it