Ha soli 15 anni e già è una delle ragazzine simbolo di quei Paesi dove essere donna non è facile. Pakistana, lo scorso 9 ottobre, nella Valle di Swat, ai confini con l’Afghanistan, hanno cercato di ucciderla per il suo attivismo nello chiedere il diritto per le donne all’istruzione.
“I am Malala” uscirà infatti in autunno per le case editrici Weidenfeld & Nicolson e Little, Brown. “Spero che questo libro raggiunga tutti i cittadini del mondo – ha spiegato la coraggiosa ragazzina, che adesso vive e studia a Birmingham – e serva a capire quanto sia difficile per alcuni bambini avere accesso all’istruzione. Io voglio raccontare la mia storia, che è poi la stessa di 61 milioni di bambini che non possono andare a scuola, e promuovere così una campagna che permetta ad ogni bambino di ricevere un’istruzione, perché questo è un diritto fondamentale”.
Un’altra donna, dopo Amina, attivista Femen che rivendica il suo essere donna in un paese come la Tunisia, o ancora Maryam Bahrman, l’attivista iraniana promotrice della campagna “Un milione di firme per l’uguaglianza” (una battaglia per la revisione delle leggi che discriminano le donne nella repubblica degli aytollah), o ancora l’attivista yemenita Tawakkul Karman, insignita del nobel per la pace nel 2011, dopo il suo impegno in prima linea nella primavera di Sana’a.
Donne che urlano, che diventano simbolo di una lotta in cui si chiede semplicemente di vivere senza più abusi e sopprusi, dove l’emancipazione femminile è ancora utopia.